by karla | 11:29 am

 

Ah, la curiosità, quella dolce e irrefrenabile voglia di sapere! Si dice che la curiosità abbia volto femminile, ma chi ha detto che debba essere così categorica?

La mia vita ha sempre danzato sulla corda sottile tra dubbi e certezze. “Dubito ergo sum”, il mio mantra, mi ha spesso salvata dai labirinti dell’incertezza. Ma attenzione, non bisogna mai dimenticare il cuore: quando lo si abbina all’intelletto, si ottiene un mix magico e sorprendente.

Niente accade per caso, almeno questa è la mia filosofia. Seguendo le coincidenze più intriganti, ho deciso di abbandonare la mia zona di comfort e assaporare ogni attimo.

Un giorno, spinta dalla curiosità, ho cercato la parola “ubuntu” su Internet. Una mossa audace, dato che un amico aveva addirittura una maglietta con scritto “don’t ask GOOGLE, ask me!”.

La scoperta? Ubuntu non è solo un termine che riecheggia nelle terre dell’Africa sub-sahariana, ma nasconde un profondo significato: “umuntu ngumuntu ngabantu”, che tradotto dallo Zulu significa “io sono ciò che sono grazie a ciò che tutti siamo”.

Pensate a come ci definiamo e ci vediamo attraverso gli occhi degli altri. In molte culture, il saluto va oltre le semplici parole; è un riconoscimento, un “ti vedo” che racchiude un intero universo. Il corrispettivo del nostro “salve” è “sawa bona”, che tradotto significa proprio “ti vedo”, con la risposta “sikhona”, “sono qui”.

Ubuntu ci invita a sostenere e aiutarci a vicenda, a riconoscere non solo i nostri diritti ma anche i nostri doveri. È un invito all’umanità, una preghiera per la pace.

Nel mondo frenetico in cui viviamo, a volte dimentichiamo di salutare, di riconoscere l’altro. Ma senza quel riconoscimento, esiste davvero il nostro io?

È un compito grandioso e un onere profondo, ma cosa c’è di più bello? Io vi vedo, e voi?

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Macropuntinismo e oltre