

prima e dopo
…del ri-ordino, ri-uso, ri-ciclo, ri-sanamento, ri-strutturazione….del ri-torno alla vita ri-scoprendo l’amore.
Nel mio percorso di crescita, di studio, mi appassionai all’architettura e soprattutto al recupero, restauro e risanamento conservativo. Mi incuriosii il concetto del recupero romantico. J. Ruskin si interrogò sulle ragioni prime del restauro e della conservazione, che troppo spesso il tecnicismo tende a dimenticare. In quell’epoca, parliamo dell’800, il disprezzo del presente, incarnava la rinuncia dell’uomo romantico all’azione. La vita è intesa come contemplazione del passato e del presente. I valori poetici ed estetici sono sentiti come superiori a quelli pratici ed economici.
J. Ruskin
…per un popolo è un cattivo segno quando le sue cose sono costruite per durare una sola generazione…
Il recupero romantico interpreta la bellezza come caratteristica dell’opera nel suo stato di perfezione, derivata dalla capacità umana di imitare la natura, e la sublimità come impronta del tempo sull’opera, che fornisce quindi alla bellezza un valore aggiunto. Il monumento in rovina è dunque sublime. Piuttosto curioso, no?
J. Ruskin
la falsificazione storicistica è peggio della distruzione
Credo di essere d’accordo con questa visione delle cose. Ebbi modo di sperimentarlo restaurando, a modo mio naturalmente, diversi mobili. Come la vetrina nella foto. Perfetto hobby estivo a cui dedicarsi in campagna nella casa dei nonni. Le rimesse, è noto, spesso nascondono dei veri e propri gioielli. Ci vidi qualcosa in quella vecchia vetrinetta e decisi di farla rivivere. Nonostante l’incentivo della nonna, che suonava più o meno così: “l’è vecio…bon solo per il foc”. Donna pratica la nonna.
Incurante del “l’incentivo” mi misi all’opera. La portai fuori dalla rimessa (mi chiedo ancora il perché si chiamasse “ambar”), pulii, smontai, carteggiai… Vedendomi, la nonna si sedette accanto a me e, senza che le chiedessi nulla, iniziò a raccontare i ricordi legati a quel mobile. Beh, ora so anche che ha dovuto vendere ben quattro mucche per comprarlo. Ci teneva allora! Ne fui felice. Non perché ebbi ragione ad insistere ma perché stavo rivivendo le emozioni della nonna e le stavo riportando ad una nuova vita.
Ci misi due giorni per completarlo. Lo dipinsi e lasciai fuori la notte ad asciugare. Piovve. Si rovinarono le due ante inferiori. L’acqua le fece imbarcare e io non potei più fare nulla visto che dovetti ripartire. Piansi. Mio padre, a cui raccontai tutto, aggiustò le ante. Finii ciò che avevo iniziato io. In famiglia dimostriamo l’amore così…facendo.
Con questo non voglio dire che sto dando valore alle cose. La vetrinetta potrebbe anche finire distrutta ma quel valore esperienziale resterà con me. Concludo con questo toccante passo del libro di Ruskin:
tratto dal libro “Le sette lampade dell’architettura”, pubblicato nel 1849:
“Vigilate su un vecchio edificio con attenzione premurosa; proteggetelo meglio che potete e ad ogni costo, da ogni accenno di deterioramento. Contate quelle pietre come contereste le gemme di una corona; mettetegli attorno dei sorveglianti come se si trattasse delle porte di una città assediata; dove la struttura muraria mostra delle smagliature, tenetela compatta usando il ferro; e dove essa cede puntellatela con travi, e non preoccupatevi per la bruttezza di interventi di sostegno: meglio avere una stampella che restare senza una gamba. E tutto questo, fatelo amorevolmente, con reverenza te continuità, e più di una generazione potrà ancora nascere e morire all’ombra di quell’edificio. Alla fine anch’esso dovrà vivere il suo giorno estremo; ma lasciamo che quel giorno venga apertamente e senza inganni, e non consentiamo che alcun sostituto falso e disonorevole privi degli uffici funebri della memoria.”